Sono fissate per oggi, davanti ai gip di diversi tribunali, le udienze per la convalida dei fermi per le 16 persone finite in carcere con le accuse – a vario titolo – di usura ed estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti di due imprenditori del settore conciario attivi a Solofra, operazione eseguita nella giornata di mercoledì dalla Direzione investigativa antimafia di Salerno dopo le indagini condotte dalla Dda salernitana (Carlo Rinaldi ed Elena Guarino i sostituti procuratori titolari del fascicolo).
Un’inchiesta che ha permesso di svelare una sorta di “triangolo delle estorsioni” in cui gli imprenditori taglieggiati si sono rivolti prima a persone legate al clan Genovese della Valle dell’Irno per poi – dopo aver subito pressioni e minacce per la difficoltà nel pagare i debiti – chiedere aiuto ai referenti del clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia e, infine, finire nelle mani del nuovo clan Partenio di Avellino.
Una vicenda, dunque, che nasce dalla Valle dell’Irno e che vede la presunta partecipazione di personaggi di spicco della criminalità organizzata locale, già coinvolti in passato in altre vicende. E che vede come primo “protagonista” Gaetano Schettini: l’imprenditore 44enne di Fisciano, infatti, è ritenuto una sorta di “broker” del giro d’usura collegato al clan Genovese.
È lui, infatti, a fornire la prima dazione di denaro agli imprenditori con un tasso mensile prima del 10% e poi del 12% mensile per una cifra totale di circa 95mila euro. E fu proprio Schettini, secondo quanto ricostruito nelle indagini, ad usare per la prima volta violenza sui due imprenditori, schiaffegiando in pubblico uno dei due in seguito a un mancato pagamento.
Il 44enne fiscianese, in passato finito al centro di un’inchiesta sulle case d’appuntamento nella Valle dell’Irno, è stato l’uomo a finire nel mirino dei D’Alessandro dopo la “richiesta d’aiuto” degli impresari delle pelli al clan: i delegati degli stabiesi, infatti, si recarono presso l’attività di Schettini per chiarire definitivamente la questione del “trasferimento del debito”, organizzando una sorta di spedizione punitiva che, però, non andò a buon fine perché il 44enne, al momento della “missione” era ristretto agli arresti domiciliari.

