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Terremoto, una ricostruzione infinita

di Michele Figliulo e Nando Morra
Dopo 43 anni i Comuni denunciano ancora ritardi e omissioni: «Trasferire le competenze statali a Regioni ed Enti locali»
Terremoto, una ricostruzione infinita

Ricorre oggi il 43° anniversario del terremoto del 1980 e, come sempre, nei Comuni più colpiti dell’area del “cratere” si svolgono cerimonie per ricordare le migliaia di vittime della più drammatica e estesa calamità vissuta dall’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi. Vi saranno anche momenti di riflessione pubblica. Uno di questi si terrà stamattina nell’aula consiliare del Comune di Campagna che ha promosso l’iniziativa insieme a ALI – Autonomie Campania e alla Provincia di Salerno.

Nel corso dell’incontro verrà presentata la piattaforma digitale “Il terremoto del 1980 tra Memoria, Presente e Futuro”. Essa sarà il luogo mediatico dove conservare la memoria non solo della grande tragedia vissuta ma anche di ciò che erano prima del sisma i centri colpiti. Sarà anche lo strumento per fare il punto sulla ricostruzione e per discutere sul “che fare” per un diverso futuro dell’osso del Mezzogiorno. Alla piattaforma daranno il proprio contributo i tanti Sindaci e Amministratori che da tempo si sono costituiti in Comitato al quale partecipano sia quelli in carica che i succeduti dal 1980 in poi. Tutto ciò assume significativa valenza anche alla luce di più considerazioni. Innanzi tutto partendo da un dato: sono ormai trascorsi 43 anni. Un tempo abbastanza lungo per “storicizzare” l’evento, per sottrarlo alle polemiche contingenti e per trarre indicazioni utili non solo per le zone terremotate della Campania e della Basilicata, ma a quelle dell’intero Paese.

Non mancano segnali positivi, come la ricerca storica dell’Università di Torino in collaborazione con i Comuni delle province di Potenza, Avellino e Salerno e il lavoro che da anni sta conducendo l’Osservatorio della Fondazione MidA. Ma c’è ancora la scottante attualità di un obiettivo purtroppo ancora non raggiunto: la chiusura della partita della “Ricostruzione”. Sembra impossibile invece è la realtà. Si è vicini al traguardo ma l’ultimo trattino è come l’Everest. In Campania e Basilicata, infatti, si è ripetuto un copione già noto. Alla ricostruzione, così come avvenuto per altri eventi sismici ( Belice 1968 e l’Aquila del 2009) non si riesce a mettere la parola fine. E ciò alimenta ancora il giudizio negativo che pesa sulla “Ricostruzione” come sommatoria di due fattori: gli effetti di scandali connessi al sistema degli appalti e alla incapacità degli amministratori locali.

È tempo di chiudere anche questo punto in modo netto. Primo: la cosiddetta “tangentopoli”, quando c’è stata, ha riguardato gli appalti per la realizzazione di alcune infrastrutture. Opere importanti in un territorio privo di moderne connessioni viarie e reti di servizio ma non decise e non “governate” dai Comuni bensì dai “Commissari Straordinari” espressione dei governi dell’epoca. È verità non ignorabile.

Secondo: la “Ricostruzione” civile, del tessuto urbanistico e dunque abitativo, ha subito la irresponsabilità della politica e delle istituzioni centrali nella erogazione e assegnazione dei fondi ai Comuni. Per la Campania e la Basilicata è da sottolineare che solo dal 1980 al 1990 vi fu un flusso costante di risorse finanziarie che consentì ai Comuni di completare il 90% degli interventi. Purtroppo, in seguito, gli stanziamenti non solo diminuirono ma si diradarono a dismisura; in qualche caso, dalla data di inserimento delle risorse nella legge finanziaria a quella di effettivo trasferimento ai Comuni, sono trascorsi oltre venti anni!. Sono dati ufficiali riscontrabili negli atti parlamentari e della Banca d’Italia. È incredibile ma è purtroppo vero.

Il risultato è che ad oggi la percentuale degli interventi completati è intorno al 96%. Le responsabilità della “ricostruzione infinita” ricadono nette su tutti i governi nazionali, politici e tecnici, di centro destra e di centro sinistra che hanno guidato l’Italia negli ultimi venti anni. I Sindaci e le comunità locali si sono impegnati allo spasimo per “chiudere” con il terremoto come riconosciuto dal Presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, con la assegnazione ai Comuni del “cratere” delle Medaglie d’Oro nel corso di una solenne cerimonia al Quirinale del 25 giugno 2006, e come riconoscono singoli e Associazioni, che ritornano nei centri dove sono stati “volontari” nei giorni della distruzione e della disperazione.

Le date dicono tutto. Confermano che da circa due decenni c’è stato il blocco delle risorse per completare la ricostruzione. La mancata chiusura porta anche a situazioni incredibili come quella denunciata dal direttore de “la Città” Tommaso Siani a proposito di una recente sentenza della Corte Costituzionale le cui conseguenze potrebbero essere disastrose per centinaia di Comuni delle due Regioni. La decisione della Consulta, conseguente ad un procedimento innescato da alcuni cittadini di Pescopagano, circa la mancata assegnazione di alloggi post sismici, sollecita attente valutazioni. Il rischio è la potenziale apertura di un contenzioso senza fine tra cittadini, Comuni, Stato.

Intanto, è conseguenza di una sacrosanta esasperazione di tante famiglie terremotate, vittime di una norma statale ora dichiarata incostituzionale ma è anche una lezione: le partite vanno chiuse una volta per tutte. Il Comitato ha da tempo avanzato la proposta che tutte le competenze attualmente in capo allo Stato Centrale, vanno trasferite alle Regioni ed ai Comuni cioè ai centri decisionali più vicini ai cittadini. Se questa proposta venisse accolta dal governo Meloni, non solo la partita del terremoto dell’Osso dell’Appennino ma anche quella del Belice e dell’Aquila, si potrebbero chiudere in breve tempo. Va detto al riguardo, per onestà culturale e politica, che negli ultimi anni la Regione Campania ha messo in campo un impegno concreto verso il governo centrale per definire finalmente la ricostruzione.

Ultima considerazione sul futuro delle aree terremotate. Vi è una diffusa edilizia di qualità antisismica e anche una rete viaria significativa anche se ancora da integrare con altri interventi soprattutto nel trasporto ferroviario interno e trasversale (Tirreno-Adriatico). Vi sono aree industriali nelle quali accanto a capannoni vuoti, residui della pseudo industrializzazione con insediamenti di “usato produttivo”, sussistono anche eccellenze di livello non solo nazionale.

Vi sono risorse naturali (parchi, riserve, aree termali, ecc), rilevanti realtà paesaggistiche, storiche, enogastronomiche, artigianali che danno impulso a un turismo in costante crescita e interessato anche ai tanti e a volte misconosciuti beni culturali. Elementi di dinamicità culturale, economica e sociale che fanno i conti con i tanti problemi irrisolti del Sud e, in particolare, delle Aree Interne. Primo tra questi e strategico per il gap Nord – Sud , l’esodo della risorsa che costituisce il “capitale sociale” decisivo per il Mezzogiorno: il fiume di giovani laureati e diplomati costretti alla emigrazione per un lavoro adeguato. Problemi di ieri e di oggi che la classe dirigente locale, cresciuta anche nell’esperienza del la gestione del dopo-sisma, se supportata da politiche nazionali di sviluppo e da strumenti adeguati, potrebbe affrontare con risultati positivi per il Mezzogiorno e per il Paese .

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