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Viaggio nell’inferno del carcere di Salerno

di Eleonora Tedesco
Il presidente Amirante: più umanità
Viaggio nell’inferno del carcere di Salerno

“Nella pietà che non cede al rancore, Madre ho imparato l’amore”, cantava De Andrè nel suo “Testamento di Tito” al cospetto di Cristo crocifisso accanto ai due ladroni. È questo, probabilmente, il senso del lavoro quotidiano di Monica Amirante, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Salerno e coordinatrice nazionale dei magistrati di sorveglianza (Conams). Perché, dietro quelle sbarre dove è difficile restare umani, considera essenziale non perdere mai il senso profondo del concetto di Pietas nei confronti di chi, condannato e quindi ritenuto colpevole con sentenza, perde la libertà ma non per questo i suoi diritti fondamentali. E, in questa torrida estate segnata dai suicidi in carcere e dalle rivolte, ribadisce con forza la necessità di un cambio radicale di mentalità, a partire dalla società civile, rispetto alla detenzione e alle misure alternative. Più risorse, strutture di cura territoriali adeguate e multidisciplinari ma soprattutto la vera e piena applicazione dell’articolo 27 della Costituzione che, tra l’altro prevede espressamente che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

+++ L’ARTICOLO COMPLETO SULL’EDIZIONE ODIERNA DEL QUOTIDIANO CARTACEO +++

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