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Femminicidio Troisi, il marito sapeva che era incinta

di Carmine Landi
Il giudice riconosce la connessione tra il femminicidio e la morte intrauterina: unificazione dei due procedimenti in Corte d'Assise
Femminicidio Troisi, il marito sapeva che era incinta

Inequivocabile connessione oggettiva e soggettiva. È quella che intercorre tra il femminicidio di Maria Rosa Troisi, la casalinga 37enne d’origini solofrane che il 20 settembre d’un anno fa fu ammazzata dal marito nel villino di via Flavio Gioia, in località Lago di Battipaglia, e la consequenziale morte del feto che portava in grembo. L’ha riconosciuta ieri mattina il giudice Gabriella Passaro, presidente della Terza sezione penale del Tribunale di Salerno, accogliendo le istanze avanzate in tal senso dagli avvocati delle parte civili: hanno chiesto l’unificazione dei due procedimenti le legali Angela Inghilleri, che assiste i figli minori della Troisi e dell’imputato (affidati alla curatrice speciale Rosanna Carpentieri), e Norma Marranzini, rappresentante d’uno dei due fratelli della vittima, che vivono in Inghilterra.

Nei prossimi giorni, quindi, l’idraulico battipagliese Marco Aiello, 41 anni, che sferrò i fendenti fatali al collo della moglie, dovrà ricomparire davanti alla Corte d’assise (la Passaro è giudice a latere accanto al presidente Vincenzo Ferrara): patrocinato dall’avvocato Giovanni Giuliano, dovrà difendersi da due accuse, ossia l’omicidio volontario della moglie, aggravato dall’aver agito contro la coniuge e in circostanze tali da ostacolarne la difesa, e l’interruzione non consensuale di gravidanza. Per gli inquirenti Aiello sapeva che la Troisi era incinta.

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