«Piglia i soldi e mi paga». Il soggetto della frase che Franco Alfieri avrebbe pronunciato il 21 settembre d’un anno fa è la Dervit di Roccadaspide. Con il “mi”, invece, avrebbe fatto riferimento all’impresa di famiglia, quella Alfieri Impianti in seno alla quale, a quanto ricostruito da pm e gip, il presidente della Provincia, pur non comparendo formalmente nell’assetto societario (alcune quote però sono nelle mani della figlia), sarebbe amministratore di fatto, tant’è che di sabato avrebbe preso parte finanche alle riunione aziendali.
La rotonda per i soldi. Il modo di far «pigliare i soldi» alla ditta di Vittorio De Rosa sarebbe una perizia di variante da 160mila euro (approvata in giunta un mese dopo) sul primo lotto dell’intervento d’adeguamento, ampliamento ed efficientamento della pubblica illuminazione: Alfieri s’inventò una rotonda sulla strada per Capaccio paese. Il motivo era nell’intervenuta revoca del finanziamento regionale che avrebbe consentito all’impresa rocchese di recuperare più celermente il danaro, provocata dal presunto reato di falso contestato proprio al sindaco, che a Palazzo Santa Lucia aveva dichiarato di gestire in house i lampioni disseminati sul territorio pestano, nonostante dal 2011 fossero in mano proprio a Dervit e a un’altra ditta, in forza d’una concessione ventennale. Premura del primo cittadino capaccese era che all’impresa di De Rosa arrivassero soldi: pure sul rifacimento di via Magna Graecia, ottenuto da una ditta cilentana, Alfieri chiedeva a Campanile: «L’ha data a Vittorio la pubblica illuminazione? Penso di sì?». Risposta affermativa: ci fu un subappalto da 300mila euro alla Dervit.
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